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Tributi. Imu di enti non commerciali

Il Sole 24 Ore
19 November 2012
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Il Consiglio di Stato, con parere n. 4802 del 13 novembre 2012, ha dato il via libera al regolamento del ministero del l’Economia di approvazione della dichiarazione ai fini del riconoscimento dell’esenzione Imu per i fabbricati degli enti non commerciali con utilizzazione mista. Un via libera, però, condizionato a una ricca serie di osservazioni.
Il regolamento aveva ricevuto una prima bocciatura il 27 settembre 2012 (parere n. 7658) in quanto il Ministero aveva definito la nozione di attività commerciale, eccedendo il mandato legislativo.
Successivamente, con una modifica all’articolo 91-bis del Dl 1/2012, apportata con il Dl 174/2012, è stato assegnato al regolamento ministeriale anche il compito di stabilire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività elencate nel l’articolo 7 del Dlgs 504/1992 come svolte con modalità non commerciali.
Posto che gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali e che gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’Imu, secondo il Consiglio di Stato i criteri per escludere la natura commerciale previsti per i singoli settori, simili peraltro a quelli già individuati nella circolare delle Finanze n. 2/DF del 2009, non sono coerenti con i principi comunitari, secondo i quali per escludere la natura commerciale di un’attività non è rilevante l’assenza dello scopo di lucro, ma il carattere non economico che deve qualificare l’attività non commerciale; per la Corte di giustizia l’offrire sul mercato beni e servizi costituisce sempre un’attività economica.
Sulla scorta di tali premesse, il Consiglio di Stato critica i criteri di settore individuati nel regolamento, in quanto non garantirebbero la natura non commerciale delle attività, e fornisce una propria definizione generale, valevole per tutte le attività elencate nella norma di esenzione: l’attività non ha carattere commerciale se è svolta dietro «il versamento di rette di importo simbolico o comunque tale da non integrare il requisito del carattere economico dell’attività, come definito dal diritto dell’Unione europea, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio e della differenza rispetto ai corrispettivi medi previsti per attività analoghe svolte con modalità concorrenziale nello stesso ambito territoriale».
In base a tale impostazione i giudici chiedono al ministero di modificare per l’attività assistenziale, sanitaria, didattica, i due requisiti individuati per escludere la natura commerciale: quello dell’accreditamento o convenzionamento con lo Stato o altro ente pubblico e quello della gratuità o del pagamento di rette simboliche o comunque non superiori alla metà delle rette medie previste per le stesse attività convenzionate.
Stessa sorte per le attività ricettive per le quali il regolamento ministeriale prevede che la non commercialità è garantita da un’accessibilità limitata e dalla discontinuità nel l’apertura, e per la ricettività sociale, rivolta a persone svantaggiate. Anche se è previsto che in questi casi le rette devono essere simboliche o comunque non superiori alla metà delle rette medie delle attività svolte in modo commerciale è necessario, occorre integrare i criteri con il requisito “europeo” del carattere non economico dell’attività.
Per quanto attiene alle attività culturali, ricreative e sportive, la previsione che l’attività vada svolta a titolo gratuito e con corrispettivo simbolico, è sufficiente, invece, a qualificare l’attività come non commerciale.
La portata del parere va oltre il regolamento ministeriale, perché fornisce una definizione di attività non commerciale aderente ai principi comunitari e a quelli della Cassazione (ordinanza 23586/2011), ma completamente diversa da quella indicata nella circolare 2/DF del 2009.
Ora i Comuni, ai fini del recupero, dovranno attrezzarsi per reperire i tariffari medi delle attività sopra elencate.

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