La ripartizione dell’onere della prova nel processo tributario

Dottrina e giurisprudenza ritenevano applicabile l’articolo 2697 del C.C., in ordine all’onere della prova nel processo tributario, non essendoci una specifica norma di riferimento. A quasi due anni dalla modifica, la giurisprudenza sembra aver modificato orientamento

5 August 2024
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Premessa

Fino all’introduzione del comma 5-bis, dell’art. 7, del D.Lgs. n. 546/1992, dottrina e giurisprudenza ritenevano applicabile l’articolo 2697 del C.C., in ordine all’onere della prova nel processo tributario, non essendoci una specifica norma di riferimento. A quasi due anni dalla modifica, la giurisprudenza non sembra aver mantenuto un orientamento ancora aderente ai principi di detta disposizione.

Riferimento normativo

Ad opera dell’art. 6, della Legge n. 130/2022, recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario”, è stato integrato l’art. 7 (Poteri delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado), del D.Lgs. n. 546/1992, che disciplina il processo tributario, attraverso l’inserimento del comma 5-bis. La novella dispone che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”. Nonostante la rilevante revisione dell’art. 7, si sta delineando un orientamento della giurisprudenza che appare in continuità con quello assunto prima dell’intervento normativo.

Cosa indica la previsione normativa sull’onere della prova


Esaminando nel dettaglio il comma in esame, è possibile rinvenire tre aspetti rilevanti formulati dal legislatore.
1)all’amministrazione finanziaria, e quindi all’ente impositore, è consentito di provare “in giudizio” le violazioni indicate nell’atto di accertamento;
2) la decisione del giudice si fonda “sugli elementi di prova che emergono nel giudizio”;
3)il giudice ha la possibilità di annullare l’atto, se la prova non è fondata o è contraddittoria o non è in grado di indicare in maniera circostanziata le ragioni su cui si fonda la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Dunque, nel riparto dell’onere della prova, il Comune è tenuto a dimostrare la pretesa fiscale “in giudizio”, benché ciò non significa che l’atto possa essere privo dell’indicazione dei presupposti d’imposta, anzi tali elementi devono essere presenti e indicati in maniera certa e chiara. Ciò in quanto, sussiste la necessità che l’atto di accertamento riporti una motivazione articolata e idonea a far comprendere al contribuente il processo logico-giuridico che ha condotto all’emissione dell’atto medesimo. Il soggetto passivo, per lo meno nell’ambito della fiscalità locale, è tenuto, di contro, a fornire la prova relativa all’applicazione di agevolazioni.

L’orientamento della giurisprudenza, dopo la modifica all’art. 7, del D.Lgs. n. 546/1992

Dall’entrata in vigore della norma in commento, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di esprimersi più volte sul riparto dell’onere della prova all’interno del perimetro dei tributi locali.

I giudici di legittimità, in sostanza, ritengono assolto l’adempimento del Comune che ha indicato nell’atto di accertamento, in maniera dettagliata e chiara, quali sono i presupposti della pretesa fiscale, mentre resta in capo al soggetto passivo, la dimostrazione della sussistenza di TUTTI i requisiti necessari per beneficare di agevolazioni. Pertanto, se l’ente impositore ha fornito correttamente ed adeguatamente la prova della pretesa tributaria, ossia della fondatezza e legittimità di questa, l’onere si trasferisce a carico del contribuente che dovrà dare dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti di legge per poter beneficiare di agevolazioni ovvero di regimi di favore.

L’onere viene posto in capo al soggetto passivo, ad esempio, nel caso in cui questo pretenda la riduzione di superfici imponibili ai fini TARI, in presenza di produzione di rifiuti speciali o quando un ENC intenda beneficare dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) ai fini IMU. In relazione a quest’ultimo esempio, richiama la recente Ordinanza n. 20317 del 23 luglio 2024, con cui gli Ermellini hanno chiarito che non era possibile applicare l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D. Lgs. n. 504/1992, per alcuni fabbricati di proprietà di un ente religioso, in quanto «nessuna prova [era] stata fornita neanche in sede di appello idonea a dimostrare che negli immobili in questione è stata svolta nell’anno 2012 esclusivamente attività diretta all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, alla catechesi, all’educazione cristiana ed alla didattica in concreto esercitata con modalità non commerciali, svolta cioè a titolo gratuito ovvero con il versamento di corrispettivi di importo simbolico (v. sul punto Cass. n. 24243/2021)».

Anche i giudici di merito stanno seguendo la medesima direzione della Cassazione, nella convinzione che l’introduzione del comma 5-bis in parola, di fatto, non andrebbe a modificare la ripartizione dell’onere della prova. Con la sentenza n. 1/2 del 2 gennaio 2024, anche la Corte di Giustizia Tributaria di II grado dell’Abruzzo, allineandosi alla direzione della Cassazione ha precisato: “La nuova formulazione dell’art. 7, comma 5 bis del D. Lgs n. 546/1992, entrata in vigore il 16 settembre 2022 a seguito della legge 130/2022, non modifica l’ordinaria ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e amministrazione finanziaria. La citata disposizione, infatti, si limita semplicemente ad affermare che è l’Amministrazione finanziaria a dover provare le ragioni oggettive dell’accertamento, senza giungere, come preteso dal contribuente, ad attribuire ogni onere probatorio all’Agenzia delle entrate. Alla luce di tale interpretazione la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo ha, dunque, respinto l’appello del contribuente e ribadito l’esito del giudizio di primo grado. Nella fattispecie, la frode carosello fondata sull’emissione di fatture per operazioni inesistenti è, pertanto, confermata, non avendo la contribuente assolto l’onere di dimostrare l’esistenza dei crediti utilizzati in compensazione.”

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