Imu Chiesa, regolamento promosso con riserva. Dal primo gennaio prossimo scatterà, dunque, l’imposta anche sugli immobili del clero adibiti ad attività commerciali. Ieri il Consiglio di Stato ha, infatti, espresso parere favorevole al provvedimento riformulato dal Governo, dopo la prima bocciatura del 27 settembre scorso. Allora i giudici di Palazzo Spada eccepirono che il decreto messo a punto dall’Economia, in attuazione del Dl Cresci-Italia, per determinare i criteri di esenzione dall’imposta sugli immobili degli enti no profit, e quindi anche di quelli ecclesistici, nei quali si svolgono attività non commerciali, andava oltre i confini attribuiti dalla legge. Per questo Palazzo Chigi è corso ai ripari correggendo, con il decreto legge sui costi della politica (Dl 174/2012), la norma primaria e ha rivisto lo schema di regolamento, che nei giorni scorsi è stato rispedito al Consiglio di Stato.
Il nuovo testo, sette articoli in tutto, ha ottenuto il via libera sostanziale della sezione atti normativi di Palazzo Spada (relatore Roberto Chieppa), ma con l’invito ad adeguare le disposizioni ai principi Ue, valorizzando «il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario». Per l’Ue, infatti, i presupposti necessari a escludere la natura commerciale di un’attività vanno rilevati non tanto facendo riferimento al concetto dell’assenza dello scopo di lucro, ma piuttosto richiamando il carattere non economico dell’attività non commerciale. E per la giurisprudenza comunitaria costituisce «attività economica» qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato.
In sostanza – sottolinea il parere – anche gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali di natura economica ai sensi del diritto Ue e gli immobili destinati a tali attività sono, pertanto, soggetti al pagamento dell’Imu e non possono beneficiare dell’esenzione anche pro-quota in caso di utilizzazione mista.
In particolare, le osservazioni del Consiglio di Stato riguardano i requisiti per lo svolgimento con modalità non commerciali delle varie attività ricreative. Requisiti di cui viene rilevata «l’eterogeneità» e la non compatibilità con il concetto europeo di «attività economica». In alcuni casi, infatti, è utilizzato il criterio di gratuità o del carattere simbolico della retta (per le attività culturali, ricreative e sportive), in altri il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le medesime attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettive e in parte assistenziali e sanitarie) o ancora il criterio della copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche).
Il Consiglio di Stato invita, dunque, il ministero dell’Economia a modificare il regolamento nella parte in cui definisce le attività esenti dall’Imu, specificando che non solo devono essere senza scopo di lucro, ma devono anche essere «prive del carattere di attività economica come definito dal diritto dell’Unione europea, tenuto conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio e della differenza rispetto ai corrispettivi medi previsti» per le stesse attività svolte sul mercato.
Modifiche necessarie, secondo i giudici, anche per evitare il rischio di una procedura di infrazione da parte di Bruxelles, visto che nel 2010, sull’analoga questione relativa alle esenzioni della vecchia Ici, la Commissione Ue aveva avviato un’indagine per valutare l’eventuale sussistenza di aiuti di Stato.
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