Canone unico e servitù di pubblico passaggio: insufficiente l’inserimento della via nella toponomastica

Non è sufficiente, al fine di costituire la servitù di pubblico passaggio per “dicatio ad patriam”, il mero inserimento della via nella toponomastica, non avendo ciò valore costitutivo di diritti reali o servitù d’uso pubblico sulla strada.

9 September 2021
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Non è sufficiente, al fine di costituire la servitù di pubblico passaggio per “dicatio ad patriam”, il mero inserimento della via nella toponomastica, non avendo ciò valore costitutivo di diritti reali o servitù d’uso pubblico sulla strada. Lo ha chiarito il TAR Roma con la sentenza n. 9125 del 3/8/2021, che ci consente di fare il punto su una delle possibili forme di costituzione della servitù di pubblico passaggio, anche ai fini della corretta applicazione del nuovo canone patrimoniale di cui alla legge n. 160/2019.

Occorre premettere che la servitù di pubblico passaggio (diritto reale di godimento spettante alla collettività di transitare liberamente sul bene del privato) si realizza in uno dei seguenti modi: 1) per atto pubblico o privato (es. porticati per vincolo posto direttamente all’epoca della costruzione); 2) per usucapione ventennale ex art. 1158, c.c.; 3) per «dicatio ad patriam» cioè per destinazione all’uso pubblico effettuata dal proprietario ponendo l’area a disposizione della collettività.

Ebbene, l’ipotesi di «dicatio ad patriam» presuppone la volontà del titolare di mettere a disposizione della collettività il proprio bene e l’uso continuo ed indiscriminato del bene stesso da parte della collettività. È altresì necessario che: il bene risulti posto al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini; la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione (Cons. Stato, Sez. V, 21.6.2007, n. 3316).

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