di Antonio Chiariello
Il presupposto della TARI (art.1 co.641, L. n.147/2013) si sostanzia nel possesso o la detenzione, a qualsiasi titolo, di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani; di talché è la disponibilità del locale ed area scoperta che fa sorgere l’obbligo di corresponsione del tributo.
Tale presunzione (di produzione di rifiuto), può essere vinta dal disponente, cui spetta l’onere di dedurre (ovvero dichiarare nei tempi e modi di legge) e provare che i locali ed aree scoperte occupate, in ragione del loro concreto utilizzo, non possono produrre rifiuti urbani.
Il secondo periodo del co.641 cit. dispone, poi, che sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 c.c. che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
L’individuazione delle superfici escluse, si pone, quindi, unicamente per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative.
Se, per un verso, la destinazione pertinenziale (che va sempre dimostrata in concreto), non pare di complessa evidenziazione, più difficoltosa è invece quella riferita alla non operatività dell’area, fermo restando che i predetti presupposti devono contestualmente sussistere, nel senso che il nesso pertinenziale non esclude ex se l’imponibilità, allorquando involga un’ area scoperta da considerarsi operativa.
La Corte di cassazione ha chiarito che l’operatività consiste nella idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale tassabile e non rappresenta, dunque, necessariamente, un ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass. n.14718/2023).
Il classico esempio è quello del parcheggio destinato alla clientela di un locale commerciale, lì dove la gratuità della fruizione rimane inconferente e l’area destinata deve ritenersi area operativa, in quanto, sebbene posta a servizio del locale tassabile e, dunque, in rapporto di pertinenzialità con lo stesso, concorre a quella stessa operatività della superficie cui accede, così rendendo possibile l’effettivo svolgimento dell’attività principale cui si connette la produzione di rifiuti (Cfr. Cass. 16 luglio 2024, n. 19551).
Verificata, quindi, la funzione operativa dell’area scoperta attraverso, appunto, la rilevanza della funzionalità della stessa rispetto all’attività svolta nel locale tassabile, va da se che la misura della tassazione dovrà essere rapportata non già, sempre, all’attività svolta nel bene principale, ma ad una tariffazione commisurata alla propensione quali-quantitativa di produzione di rifiuto in base alla sua concreta utilizzazione. Quindi un’area scoperta operativa destinata a parcheggi dovrà essere tassata con la tariffa deliberata per i parcheggi (catg.3 DPR n.158/1999) mentre, sempre a mo’ di esempio, un area scoperta destinata a giardino ma utilizzata da un ristorante per la somministrazione di pasti e bevande sarà tassata con la stessa tariffa del locale ove è svolta l’attività di ristorazione.
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