di Pasquale Mirto
L’obiettivo dichiarato è quello di garantire la tutela degli utenti anche mediante un sistema tariffario certo, trasparente e basato sui criteri predefiniti.
Il nuovo sistema dovrà, inoltre, «assicurare il principio generale di copertura dei costi efficienti di esercizio e di investimento».
Si tratta di obiettivi condivisibili, in quanto finalmente si porrà fine all’attuale stato di anarchia, presente sia per la Tari tributo sia per quella corrispettiva.
Per la prima, la normativa oggi prescrive in via ordinaria l’adozione di un sistema tariffario basato sul metodo normalizzato, disciplinato dal Dpr n. 158/1999. Ma allo stesso tempo è anche concessa la possibilità di applicare sistemi tariffari diversi, come quello relativo alla vecchia Tarsu, o di utilizzare un metodo normalizzato semplificato. La conseguenza ovvia è che i criteri di terminazione della tariffa non sono uguali in tutt’Italia, e ciò evidentemente può creare delle sperequazioni.
Ma non va meglio dal lato dei costi. La normativa prevede che le entrate da Tari devono garantire la copertura integrale dei costi di esercizio e di investimento. Quelli rilevanti sono individuati dal Dpr n. 158/1999, che considera le singole voci che posso essere inserite nel piano economico finanziario; il piano deve essere predisposto dal gestore e approvato dall’Autorità d’ambito, quando questa è effettivamente istituita.
Quando non esiste l’autorità d’ambito, o quando pur essendo istituita non è funzionante, il piano finanziario è approvato dal consiglio comunale. Il problema è che il metodo normalizzato individua la «tipologia» di costo inseribile nel piano economico finanziario, ma non individua costi standard. A parità di prestazioni erogate si possono di conseguenza avere gestori più o meno efficienti. Correttamente, quindi, Arera affronta il problema considerando le due facce della medaglia, quella relativa alle utenze (le tariffe) e quella relativa ai gestori (i costi efficienti).
Dal lato delle tariffe si tratta di un’operazione importantissima, perché, come anticipato, oggi il sistema è caratterizzato da eccessivi individualismi.
Se nel tributo le varianti sono quelle individuate dalla legge, nella Tari corrispettiva i sistemi tariffari sono letteralmente inventati dai vari Comuni/Gestori. E queste invenzioni sembrano orientate a garantire un determinato livello di entrata più che un’equa distribuzione dei costi.
Il nodo critico è rappresentato dagli svuotamenti minimi obbligatori, ovvero quei servizi che vengono comunque pagati anche se non utilizzati. Oggi esistono sistemi tariffari che garantiscono quote di entrate vicino al 100% dal solo conteggio degli svuotamenti minimi obbligatori.
Altro problema che dovrà essere affrontato in modo esplicito riguarda la competenza ad approvare le tariffe. Se per la Tari tributo non vi sono dubbi che la competenza è del consiglio comunale, per la Tari corrispettiva le esperienze oggi in atto dimostrano che ognuno fa quello che vuole, con tariffe approvate solo dalle Ato, solo dai Comuni oppure in modo congiunto da Ato e Comune.
Un po’ d’ordine, insomma, è decisamente necessario.
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.
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