Nel riconoscimento della facoltà di prevedere riduzioni della sola quota variabile, è implicito che la quota fissa del tributo venga imposta anche nell’ipotesi di autosmaltimento dei rifiuti speciali assimilati, perché è destinata a coprire i costi del servizio di cui l’ente deve comunque garantire la fornitura.
La parte fissa infatti è legata al servizio di smaltimento, per cui, nel rispetto di quanto stabilisce la disciplina nazionale, grava sugli utenti l’obbligo del pagamento del tributo, indipendentemente dal fatto che essi utilizzino il servizio medesimo per determinate categorie di rifiuti, per il solo fatto che ne abbiano la possibilità.
La TARI, infatti, riveste natura tributaria, quale entrata pubblica costituente “tassa di scopo”, che mira a fronteggiare una spesa di carattere generale, con ripartizione dell’onere sulle categorie sociali che da questa traggono vantaggio, senza alcun rapporto sinallagmatico tra la prestazione da cui scaturisce l’onere ed il beneficio che il singolo riceve (Cass. Civ. sez. I 14 giugno 2016 n. 12275). Vengono in tal modo rispettati sia il principio “chi inquina paga”, sia il principio di proporzionalità, in quanto la prescrizione regolamentare impugnata, fondata sul c.d. diritto di privativa pubblica (che conferisce al Comune una sorta di monopolio di diritto tale da imporre all’utente l’obbligo di corrispondere la tariffa anche quando lui stesso proceda allo smaltimento) non si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario, ed in particolare con la Direttiva richiamata dalla ricorrente (Direttiva 19.11.2008/98/CE ), che impone solo alla normativa interna di introdurre una tassazione per il servizio smaltimento dei rifiuti “conforme al principio di proporzionalità” (Cfr. sentenza Corte Giustizia 18.12.2014 n. 551).
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