“Le indagini dell’ultimo periodo della magistratura, che va ringraziata per il grande impegno quotidianamente profuso – ha affermato Cantone -, hanno evidenziato come la corruzione sia divenuto un fenomeno sistemico, che alberga soprattutto negli appalti pubblici, ma di cui non sono scevri altri settori ed ambiti dell’amministrazione, non solo quelli per certi versi ‘scontati’ delle concessioni ed autorizzazioni, ma anche altri ‘inattesi’, quali quelli delle attività cosiddette sociali affidate al terzo settore”.
Un sistema di tipo mafioso
“La corruzione inoltre – ha continuato Cantone – è cambiata nella sua struttura; essa è sempre più raramente caratterizzata dal rapporto bilaterale fra chi dà e chi riceve ma fa capo e promana da organizzazioni, in qualche caso di tipo mafioso, nel cui ambito si ritrovano, con interessi comuni, pubblici funzionari, imprenditori e faccendieri; un ‘sistema gelatinoso’ in cui si fa persino fatica a dire chi è il corrotto e chi il corruttore.
La corruzione è purtroppo un fenomeno diffuso e questo non tanto e non solo perché lo attestano classifiche internazionali, soprattutto sulla percezione della stessa da parte dei cittadini (classifiche che non sempre andrebbero prese come oro colato), o perché avrebbe un impatto sull’economia esplicitato da cifre tanto mirabolanti quanto di incerta provenienza (i famosi sessanta miliardi di cui nessuno rivendica la paternità), quanto perché é proprio l’esperienza quotidiana ed empirica che purtroppo lo dimostra.
Fenomeno sottovalutato
Infine, la corruzione è stata un fenomeno per troppo tempo sottovalutato; persino in relazioni di organismi pubblici di pochi anni fa si contestava la sua esistenza e la si attribuiva, come spesso accade, a media capziosi e tendenziosi. Oggi, la sottovalutazione è almeno in parte superata e si è consapevoli che i danni che essa arreca non si fermano al singolo appalto o al singolo atto o comportamento ma hanno effetti sociali ampi, minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, alterano il gioco democratico, distorcono la concorrenza, allontanano gli investimenti e finiscono persino per essere causa della fuga dei cervelli.
Il 90% delle amministrazioni ha adottato un piano anticorruzione, ma la qualità dei documenti è in molti casi “insufficiente” per “metodo, sostenibilità ed efficacia”. Ed emergono “varie criticità”, ha segnalato Cantone.
Il commissariamento ha funzionato
Lo strumento del commissariamento degli appalti “incriminati”, che è tra i poteri dell’Autorità Anticorruzione, ha dato risultati nella “applicazione concreta” e ha dimostrato che gran parte delle preoccupazioni espresse su di esso “erano ingiustificate”: la misura “è stata emessa solo in presenza di fatti oggettivi e particolarmente gravi ed ha consentito di portare a termine lavori pubblici complessi, in alcuni casi evitando anche conseguenze negative sul piano dell’occupazione. Nessun contrasto si è poi verificato con gli uffici giudiziari”. Le segnala il presidente dell’anticorruzione Cantone nella relazione al Parlamento.
Undici, ad oggi, le misure richieste per i casi di appalti conseguiti attraverso attività illecite, di cui 8 commissariamenti veri e propri e tre misure minori cosiddette di monitoraggio e si riferiscono tutte ad appalti di notevole impatto economico (sono stati commissariati due appalti di Expo ed un altro è stato sottoposto a monitoraggio; è stata commissariata la concessione del Mose di Venezia e sono stati commissariati appalti collegati alle indagini di Mafia Capitale, di cui quello recentissimo del Cara di Mineo). Numerosi sono anche i commissariamenti disposti nei confronti di appalti ottenuti da imprese raggiunte da interdittive antimafia, due riguardano le opere Expo.
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