Attuazione della riforma fiscale: il nuovo contenzioso tributario (Parte 10)

Come per ogni processo, anche per quello tributario il legislatore ha avvertito l’esigenza di neutralizzare i danni che potrebbero prodursi in conseguenza della durata del giudizio e ha, pertanto, previsto una tutela di tipo cautelare, la cui disciplina è contenuta nell’articolo 22 del Dlgs 472/1997

12 November 2015
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Con comunicato del 11/11/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

Come per ogni processo, anche per quello tributario il legislatore ha avvertito l’esigenza di neutralizzare i danni che potrebbero prodursi in conseguenza della durata del giudizio e ha, pertanto, previsto una tutela di tipo cautelare(1), la cui disciplina è contenuta nell’articolo 22 del Dlgs 472/1997 (decreto che reca le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie).

Nel commentare la riforma del contenzioso tributario, appare, quindi, opportuno soffermarsi anche sull’articolo 10, comma 3, lettera b), del Dlgs 156/2015, che ha introdotto importanti novità in ordine al citato articolo 22.

In sintesi, l’articolo 22 del Dlgs 472/1997, rubricato “Ipoteca e sequestro conservativo”, offre all’ufficio, “quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”, la possibilità di chiedere, “con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda”.

È ormai pacifico(2), infatti, che l’ambito oggettivo delle misure cautelari in materia tributaria si estenda alla pretesa erariale nel suo complesso e “prescinde invero dalla previsione di un ‘atto irrogativo di sanzioni’, richiedendo soltanto l’esistenza del ‘periculum in mora’ e del ‘fumus’ di un credito comunque fondato sulla normativa tributaria, sia a titolo di tributo che di sanzione” (cfr Corte di cassazione, sentenza 1838/2010).

Al riguardo, è opportuno precisare che le disposizioni di cui all’articolo 10 del Dlgs 156/2015 incidono, in particolare, sul procedimento da seguire e sulle cause di perdita di efficacia dei provvedimenti in esame, ma non sui presupposti della tutela cautelare che sono, e restano, il fumus boni iuris(3) e il periculum in mora(4).

Per quel che concerne il procedimento, la norma continua a prevedere due distinte procedure, la prima “ordinaria” e l’altra “speciale”.

Il rito ordinario prevede che l’ufficio notifichi l’istanza alle parti interessate, che possono, a loro volta, depositare memorie e documenti difensivi. Decorsi venti giorni dalla notifica dell’istanza, il presidente fissa con decreto la trattazione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. Per effetto delle modifiche in commento, ove la notifica debba essere eseguita all’estero, il predetto termine è elevato a trenta giorni(5). Nonostante il silenzio della norma, si ritiene(6) che le parti debbano essere sentite in camera di consiglio prima che la commissione decida con sentenza.

Per quel che riguarda il rito “speciale”, con l’intervento legislativo in esame, è stato integralmente riscritto il comma 4 dell’articolo 22 del Dlgs 472/1997, in merito alla possibilità di adottare il provvedimento cautelare inaudita altera parte.

Il nuovo comma 4 prevede che “Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto”.

Ne deriva che, nel caso in cui la convocazione della controparte possa pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente concede le misure richieste con decreto motivato, dunque senza contraddittorio.

Inoltre, con lo stesso decreto, il presidente deve fissare la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni, e assegnare all’istante (rectius, l’ufficio) un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto.

A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto.

Si tratta di una modifica normativa chiaramente ispirata all’articolo 669-sexies cpc, che disciplina il procedimento cautelare uniforme.

Il legislatore ha provveduto, inoltre, alla soppressione del comma 5 dell’articolo 22, che disciplinava la presentazione delle istanze di tutela cautelare agli organi di giurisdizione ordinaria, essendo la materia delle misure cautelari già da tempo devoluta alla cognizione delle commissioni tributarie.

Le modifiche al comma 6 dell’articolo 22 sono anch’esse di coordinamento formale con le nuove norme, in particolare con le disposizioni in materia di garanzia di cui all’articolo 69 del Dlgs 546/1992.

Infine, il comma 7 (in tema di efficacia delle misure cautelari) è stato implementato con la previsione di un’ulteriore causa di perdita di efficacia, che si verifica qualora i provvedimenti non siano eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. Restano confermate le due ipotesi, già contemplate dal vigente testo dell’articolo 22 del Dlgs 472/1997, che ricorrono quando:

  • nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto impositivo, di contestazione o di irrogazione
  • la sentenza, anche non passata in giudicato, accoglie il ricorso avverso gli atti di cui sopra.

 

NOTE

1) L’espressione, ormai risalente, tende a fare esclusivo riferimento alle misure cautelari regolate dall’articolo 22 del Dlgs 472/1997, che sono attivate dall’ente impositore, anche se, a rigore, ben potrebbe essere più generalmente intesa e ricomprendere, ad esempio, le misure cautelari ex articoli 77 e 86 del Dpr 602/1973, che competono all’agente della riscossione, ponendosi quindi in contrapposizione con i mezzi di tutela cautelari a disposizione delle parti private, tra cui, soprattutto, quelli previsti dagli articoli 47 e 47-bis del Dlgs 546/1992.

2) Al riguardo, si evidenzia che la norma in esame ha subito importanti modifiche normative anche tra il 2008 (cfr articolo 27, commi 5, 6 e 7, del Dl 185/2008, con i quali si è inciso sull’ambito di applicazione della norma in esame, mettendo fine, normativamente, alla questione molto dibattuta in passato, in ordine al fatto che l’articolo 22 poteva essere applicato non solo per i crediti sanzionatori, ma anche per quelli a titolo d’imposta e interessi) e il 2009 (cfr articolo 15, commi da 8-bis a 8-quater, del Dl 78/2009, con i quali si è inciso sulla possibilità per l’Agenzia di avvalersi delle risultanze delle indagini finanziarie per supportare tali istanze). Tali modifiche sono state ampiamente commentate con la con la circolare n. 4/E/2010, che rappresenta il documento di prassi di riferimento.

3) Traducibile, di fatto, nell’attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria che emerge, sia dagli atti espressamente elencati dal primo comma “In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica” che da quelli “inseriti” a opera delle modifiche citate, ossia l’avviso di accertamento e l’atto di recupero. Al riguardo, la circolare n. 4/2010 precisa che “nella ipotesi in cui si agisca sulla base di un provvedimento impositivo, il titolo per richiedere le misure cautelari è rappresentato dallo stesso atto formale” ciò non toglie che occorre comunque “una puntuale ed esauriente motivazione della richiesta”. Nel caso in cui si proceda, invece, sulla base del processo verbale di constatazione, l’ufficio, oltre ad assolvere l’adempimento, richiesto espressamente dalla norma, della notifica dello stesso deve “indicare il titolo in forza del quale richiede l’adozione delle misure cautelari, deve analiticamente evidenziare anche le ragioni che stanno a fondamento della pretesa ed ogni altra circostanza che possa supportarla”.

4) Espressamente indicato dal citato primo comma si sostanzia nel “fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”.

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5) Tale previsione è ripresa dall’articolo 669-sexies del cpc, che disciplina il procedimento cautelare uniforme.

6) Al riguardo, la Corte di cassazione, con sentenza 19 marzo 2008, n. 7342, ha chiarito che “deve, infatti, ritenersi che la mancata esplicita prescrizione della previa audizione delle parti in merito alla trattazione dell’istanza cautelare direttamente sottoposta alla cognizione del collegio costituisce mera lacuna legislativa, frutto d’imperfetta formulazione e, peraltro, agevolmente colmabile in funzione sistematica”.

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