Le possibilità di sconto per le attività economiche sono quindi piuttosto ampie. Peraltro il ricorso alla potestà regolamentare dell’articolo 52, Dlgs 446/97 consente ai Comuni di intervenire in maniera selettiva pur sempre «nel rispetto dei criteri generali di ragionevolezza e non discriminazione».
Occorre poi fare i conti con alcune situazioni particolari, considerando in primo luogo i casi di uso promiscuo, in realtà piuttosto frequenti. Si pensi all’ipotesi dell’immobile accatastato come abitazione, nel quale il proprietario risiede e svolge la propria attività professionale. In tal caso l’intero immobile va considerato come abitazione principale, poiché la norma non richiede l’esclusività della destinazione d’uso come dimora del nucleo familiare ed è quindi compatibile con l’uso promiscuo. Alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi in caso di abitazione principale parzialmente concessa in locazione: si pensi al contribuente che abita in una parte della casa e che concede in locazione alcune stanze come studio professionale. La norma non prevede la condizione che l’abitazione non sia locata, come accade invece per le case degli anziani e disabili e per quelle dei cittadini Aire.
Altro caso particolare è costituito dalle imprese con impianti che utilizzano le fonti rinnovabili. Occorre comunque distinguere i “piccoli” impianti, tendenzialmente realizzati per la copertura del fabbisogno energetico dell’utenza, dai “grandi” impianti che di fatto costituiscono delle centrali elettriche. Mentre i primi sono una pertinenza del fabbricato e quindi rientrano nella rendita catastale dello stesso, i secondi acquisiscono un’autonoma rilevanza in quanto destinati alla vendita di energia. In tal caso gli impianti vanno accatastati nella categoria D/1 come “opifici” (agenzia del Territorio risoluzione 3/T del 6 novembre 2008, Cassazione 4028/2012).
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